Questo articolo nasce dalla voglia di condividere con te le mie riflessioni su un film davvero particolare, che ha catturato le mia attenzione. Si tratta di "The House", un lungometraggio animato in
stop-motion dalle tinte macabre disponibile già da qualche tempo su Netflix.
Immagino che hai già capito il motivo per cui io voglia parlare proprio di questo film. In effetti perché tratta di un argomento a me caro, su cui si basa il mio lavoro: la casa. Ne parla in un linguaggio inusuale, forse inaspettato, nel quale ho trovato un forte significato simbolico.
Faccio una piccola premessa: questa articolo potrebbe contenere uno spoiler, quindi se hai intenzione di guardare il film, ti consiglio vivamente di leggerlo soltanto dopo averlo visto.
D’altro canto, ci sono molte domande che potrebbero farti riflettere, quindi magari lo spoiler potrebbe essere giustificato da questo. In ogni caso fai come ti senti!
Comincio eh!
Il film è composto da tre storie diverse che si svolgono tutte all’interno di un ambiente domestico. La casa è il tema centrale dei tre racconti. Di primo acchito devo dire che sono tutti alquanto inquietanti, ma nascondono un significato davvero molto profondo, legato appunto alla casa e al suo valore emblematico.
Primo racconto – confine tra possesso e accumulo.
Il primo racconto narra di una famiglia di umili origini. In questa narrazione, il regista ha evidenziato l’ossessione dei protagonisti per gli oggetti. Un’ossessione così radicata da crollare miseramente nell’illusione di un lusso che in realtà non appartiene loro e che li porta ad abbandonare anche gli affetti più stretti, oltre che a dimenticare, distruggere e rinnegare la vita passata nella vecchia casa di famiglia. Questa tematica mi ha riportato alla mente “La roba”, il racconto di Giovanni Verga che vede Mazzarò, ossessionato dal possesso, capace di uccidere il bestiame pur di portarlo con sé nell’aldilà.
È da qui nasce una domanda: quanto gli oggetti che possediamo ci possiedono?
Sono in continua crescita i casi in cui le persone, non riuscendo a separarsi dagli oggetti, si abbandonano all’accumulo, anche in maniera compulsiva, tanto da arrivare a vivere in condizioni di precarietà e di solitudine, lontano dagli affetti familiari.
In situazioni simili, si parla di disposofobia, il disturbo di accumulo che vede il separarsi dalle proprie cose come un trauma per il proprietario. Si tratta di un disturbo dove non esiste più un controllo razionale di ciò che si possiede, ma sono gli oggetti a condizionare completamente la vita della persona.
Se non sai cosa sia il disturbo da accumulo, ti lascio qui in link dove puoi leggere la storia dei fratelli Collyer.
Il disturbo da accumulo è un disturbo psicologico ancora oggi poco conosciuto, spesso erroneamente paragonato a un bizzarro tratto del carattere della persona, che colpisce tra il 3 e il 4% della popolazione. Questi numeri dovrebbero farci riflettere.
Secondo racconto – mura interiori.
Passiamo al secondo racconto del film. In questo caso, il protagonista è un giovane che mette finalmente in vendita la casa per il cui restauro ha lavorato senza sosta tutta la vita indebitandosi con le banche. La casa è nata male fin dall’inizio: i muri e le fondamenta brulicano di tarme, vermi e parassiti. L’ossessione per la casa porta il protagonista alla solitudine, ad eccezione dell’ attaccamento per il suo medico, unica persona che è rimasta nella sua vita.
Gli unici acquirenti dell’immobile si rivelano anch’essi dei parassiti. Sconfitto dal fallimento, il giovane rinuncia alla propria umanità.
La domanda qui mi sorge spontanea: quanto le nostre mura interiori incidono nella costruzione di una buona casa?
Questa breve storia mi ha fatto riflettere su quanto sia importante fare un lavoro su se stessi, un lavoro continuo e costante che permette alle nostre pareti interiori di non deteriorarsi. È giusto essere fragili, ma la fragilità non dovrebbe essere vissuta come il sinonimo di un fallimento, ma piuttosto come una spia che si accende per aiutarci a riparare una crepa fino a poco fa invisibile.
Quante possibilità ha una “casa” di crollare quando non ci sono solide “fondamenta interiori”?
Quanto è importante la nostra casa e il nostro senso dell’abitare, il nostro senso dell’esserci?
Sai, non ci sono risposte giuste o sbagliate a queste domande, ma soltanto le tue risposte, che mi auguro troverai.
Terzo racconto – attaccamento al luogo.
Per ultimo Ascolta bene e cerca la luce del sole, la storia di Rosa.
In questo racconto il regista sottolinea l’attaccamento al luogo che si traduce nell’ostinatezza della protagonista a dare nuova luce alla sua casa, accettando i comportamenti discutibili degli inquilini che barattano l’affitto con doni bizzarri, restando cieca all’evidenza della realtà: una realtà che non ha un futuro.
L’attaccamento al luogo è il frutto del nostro vissuto, di ricordi ancestrali che vivono dentro di noi, spesso nell’inconscio. Per questo si fa fatica a lasciare andare: perché ci ricorda uno sguardo accogliente o un abbraccio familiare, un primo contatto. Quella casa in cui siamo venuti al mondo, siamo cresciuti e ci siamo formati come individui. Quella casa dove abbiamo messo i nostri primi mattoni nel mondo.
Ma io credo che un luogo rimanga sempre un luogo e, per quanto importante esso sia, la cosa che veramente conta è il bagaglio che ci portiamo dietro e che nessuno potrà mai toglierci.
Noi siamo la nostra vera casa e quello che sta intorno a noi è soltanto il riflesso di ciò che abbiamo dentro: mura, stanze, oggetti.
Allora, se un luogo è solo un luogo, come mai proviamo nostalgia quando ce ne allontaniamo?
Per quel che mi riguarda, la risposta sta nel senso dell’abbandono e di come lo percepiamo, mescolato al bisogno di protezione e di accoglienza. Ma è soltanto una mia idea.
Anche questa riposta risiede dentro di te. Magari puoi trovarla tra i tuoi ricordi: i ricordi della tua prima casa.
Spero vivamente che le mie riflessioni possano in qualche modo accendere una piccola fiamma dentro il tuo cuore.
Se hai visto anche tu questo film e vuoi condividere con me le tue riflessioni, ne sarò molto felice.
Se invece vuoi iniziare a nutrire il tuo rapporto con lo spazio che ti circonda puoi candidarti per ricevere Bucolica, la sessione di coaching gratuita.
Sono disponibili soltanto 3 sessioni al mese, per cui, se sei interessata, ti consiglio vivamente di approfittane subito. Le sessioni vanno a ruba!
"Il tuo spazio è importante, curarlo è un dono."
Ti aspetto a braccia aperte.
Comments